Abruzzo, The Birth of a New Establishment

italia.jpgabruzzo.jpg“In un paese, come il nostro, nel quale gli istituti universitari dilagano, l’Abruzzo non ne possiede nessuno, sebbene un primo nucleo stia formandosi a l’Aquila. (…) manca una grande biblioteca, un istituto scientifico sperimentale, un giornale quotidiano, un grande museo d’arte (…)”. Rispetto a questa fotografia dell’Abruzzo scattata alla fine degli anni cinquanta da Guido Piovene nel suo Viaggio in Italia, il presente della nostra regione – nonostante la calamità naturale del terremoto – è certamente molto edificante. E nel dramma, è una fortuna che l’Aquila può contare sulla regione che la contiene. 

Il prossimo anno l’istituzione Regione compirà i suoi primi quarant’anni. Il clima che caratterizza questo quarantennale è nello slogan: “Un passato che non basta più ed un futuro che sembra non arrivare”. Piovene cinquant’anni fa suggeriva di “formare imprenditori preparati, moltiplicare le piccole e medie industrie, riattivare l’artigianato delle vecchie radici, attirare il turismo”. Era un appello a costruire un’economia. E annotava: “Una coscienza regionale più spiccata e unificatrice è la prima necessità che sentono gli abruzzesi amanti della loro terra”. A prescindere dalla cultura politica di riferimento, l’imperativo della nuova classe dirigente deve essere ancora quello di avere una “coscienza regionale spiccata e unificatrice” in quanto unica arma per difendere i nostri interessi di regione. Ricostruire un’economia vuol dire poi riconoscere che tipo di società è quella abruzzese. Ancora Piovene scrive che l’Abruzzo ha “un carattere cantonale radicato negli animi”, in quanto i “gruppi italici che lo abitarono un tempo, i Vestini, i Peligni, i Marrucini, i Frentani, i Marsi, i Pretuzi” erano “incapaci di vera associazione”. Questo è il motivo che spiega perché la classe dirigente in grado di incarnare la coscienza unificatrice sarà l’unica capace di progettare il vero futuro dell’intera regione

In ogni società, il futuro è la conseguenza della dialettica tra tribù familiste chiuse e minoranze creative aperte. Afferma Joseph Ratzinger in Europa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domani che “il destino di una società dipende sempre da minoranze creative” in cui – come nello sport – vincono i migliori. Per costruire il nuovo modello economico di sviluppo della regione è vitale fare un censimento del capitale sociale dell’Abruzzo espresso anche dalle “minoranze creative” sommerse nel milione e trecentomila persone che popolano gli undicimila chilometri quadrati della regione. Si scopriranno le cosiddette “comunità di pratica”, elité trasversali anche, ma non solo, tra corpi intermedi, connesse in reti di eccellenza e competenza aperte a relazioni con altre regioni italiane, con l’Europa e con il mondo. Da un siffatto censimento la migliore classe dirigente politica, autentica moneta buona, dai vertici regionali ai più piccoli dei trecentocinque comuni, potrà cooperare ad un serio e credibile progetto di rinascimento e ricostruzione dell’economia: un nuovo contratto sociale che contrasta quella che Piovene definisce la tendenza principale di noi abruzzesi, quella a “dissociarci”, quando, al contrario, un’economia è il prodotto di una società non a relazioni claniche inerti, asfittiche e antieconomiche, ma aperta e quindi capace di produrre ricchezza. 

Non possiamo più permetterci di coltivare aspirazioni di corto e basso respiro, né chiuderci in un ostinato catenaccio ripetendo ossessivamente i soliti luoghi comuni. E’ tempo di una politica alta che vada oltre i puri rapporti di forza e il gioco perverso dell’intreccio di molteplici debolezze. Il Socrate senofonteo dei Memorabili dice che il massimo esempio di azione indegna ed empia consiste nel mandare in rovina la propria casa, il proprio corpo e la propria anima. A questa responsabilità le nuove classi dirigenti abruzzesi non potranno sfuggire.

autore: Gabriele Rossi

fonte: IL CENTRO del 3 luglio 2009

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