Persona e Stato: fallibile la prima; mai perfetto il secondo

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di Dario Antiseri

Critico dell’economicismo e del socialismo, Antonio Rosmini ebbe chiarissimo il nesso che unisce la proprietà alla libertà della persona. “La proprietà – afferma nella Filosofia del Diritto – esprime veramente quella stretta unione di una cosa con una persona … La proprietà è il principio della derivazione dei diritti e dei doveri giuridici. La proprietà costituisce una sfera intorno alla persona, di cui la persona è il centro: nella qual sfera niun altro può entrare”. Da qui l’imperativo di rispettare l’altrui proprietà: il rispetto dell’altrui proprietà è il rispetto della persona altrui. La proprietà privata è uno strumento di difesa della persona dall’invadenza dello stato.
Persona e Stato: fallibile la prima; mai perfetto il secondo. Ecco una famosa pagina della Filosofia della politica: “Il perfettismo, cioè quel sistema che crede possibile il perfetto nelle cose umane, e che sacrifica i beni presenti alla immaginata futura perfezione, è effetto dell’ignoranza. Egli consiste in un baldanzoso pregiudizio, pel quale si giudica dell’umana natura troppo favorevolmente, se ne giudica sopra una pura ipotesi, sopra un postulato che non si può concedere, e con mancanza assoluta di riflessione ai limiti naturali delle cose“.
Il perfettismo è “effetto dell’ignoranza” e frutto di un “baldanzoso pregiudizio”. Il perfettista ignora “il gran principio della limitazione della cose”. Egli non si rende conto che la società non è composta da “angeli confermati in grazia”, quanto piuttosto da “uomini fallibili”. E l’umana fallibilità lascia la sua traccia in tutti i nostri progetti. Di conseguenza risulta urgente non dimenticare che ogni governo “è composto di persone che, essendo uomini, sono tutte fallibili”.
Sennonché entusiasti della nefasta idea perfettista sono gli utopisti – “profeti di smisurata felicità”, i quali, con la promessa del paradiso in terra, si adoperano alacremente a costruire per i propri simili molto rispettabili inferni. L’utopia – scrive Rosmini – “lungi dal felicitare gli uomini, scava l’abisso della miseria; lungi dal nobilitarli, gli ignobilita al par de’ bruti; lungi dal pacificarli, introduce la guerra universale, sostituendo il fatto al diritto; lungi d’eguagliar le ricchezze, le accumula; lungi da temperare il potere de’ governi lo rende assolutissimo; lungi da aprire la concorrenza di tutti a tutti i beni, distrugge ogni concorrenza; lungi da animare l’industria, l’agricoltura, le arti, i commerci, ne toglie via tutti gli stimoli, togliendo la privata volontà e lo spontaneo lavoro; lungi da eccitare gl’ingeni alle grandi invenzioni, e gli animi alle grandi virtù, comprime e schiaccia ogni slancio dell’anima, rende impossibile ogni nobile tentativo, ogni magnanimità, ogni eroismo e anzi la virtù stessa è sbandita, la stessa fede alla virtù è annullata”.
E qui va sottolineato che dietro all’antiperfettismo di Rosmini preme la sua critica all’arroganza di quel pensiero moderno che elabora i suoi fasti nei pensatori illuministi. La dea Ragione sta a simboleggiare un uomo che presume di sostituirsi a Dio e di poter crere una società perfetta. Il giudizio che Rosnini dà sulla presunzione fatale dell’Illuminismo e sugli esiti tragici della Rivoluzione francese fa venire alla mente analoghe considerazioni, prima di Edmund Burke e successivamente di Friedrich August von Hayek.
Problemi gravi, nella Francia dell’epoca, ve n’erano. E non è un mistero – scrive Rosmini – che, come sempre, vi era nella popolazione “una parte irrequieta”. Ebbene, quel che avvenne fu che “capitanarono questa canaglia i cosiddetti filosofi, cioè i filosofi senza logica del secolo XVIII; e giovandosi del reale bisogno di progresso che aveva la civile società, presero ad incitarla … con promessa d’addurla così al progresso bramato che ella non sapeva formulare, né dargli forma esterna, né esterna esecuzione. La società si affidò ai primi capitani che le si offersero, dirò anche agli unici. Sventura! erano dei sofisti, degli empi. Così la causa del progresso si trovò orribilmente involta in quella delle passioni popolari, atee, anarchiche; mille idee si rimescolarono, si urtarono, ne nacque il caos, e dalle menti passò purtroppo nella realtà della vita”.
Antiperfettista, a motivo di quella che egli chiama l'”infermità degli uomini”, Rosmini si affretta sempre nella Filosofia politica, a far presente che gli strali critici puntati contro il perfettismo “non sono volti a negare la perfettibiltà dell’uomo e della società. Che l’uomo sia continuamente perfettibile fin che dimora nella presente vita, egli è un vero prezioso, è un dogma del Cristianesimo“. L’antiperfettismo di Rosmini implica, dunque, l’impegno maggiore. Da qui, tra l’altro, la sua attenzione su quella che egli chiama “lunga, pubblica, libera discussione”, giacché è da siffatta amichevole ostilità che gli uomini possono tirare fuori il meglio di sé ed eliminare gli errori dei propri progetti e idee.
L’antistatalismo – quale forma di utopismo – si configura in Rosmini come una precisa difesa della libertà e della dignità della persona umana. “Calcolandosi gli uomini unicamente per quello che sono utili allo stato, e nulla in se stessi, essi vengono abbassati alla condizione di cose e privati del carattere di persone: sotto un tal punto di vista, un branco di pecore può valere di più di un branco di uomini … Per noi l’uomo non è solo cittadino: prima di essere cittadino, egli è uomo, e questo è il suo titolo imprescrittibile di nobiltà, questo il rende maggiore a tutte insieme le cose materiali che compongono l’universo”.
Libertà, dignità e nobiltà della persona che vengono letteralmente calpestate, tra l’altro, dalla pretesa dello Stato di erigersi a maestro unico e di eliminare, di conseguenza, la libertà di insegnamento. E proprio contro siffatta concezione liberticida Rosmini nel saggio Della libertà d’insegnamento afferma: “I padri di famiglia hanno dalla natura e non dalla legge civile il diritto di scegliere per maestri ed educatori della loro prole quelle persone nelle quali ripongono maggior confidenza”. Lucido sulle conseguenze liberticide implicite nel monopolio statale dell’istruzione, Rosmini non lo è da meno sui danni prodotti da quello che noi oggi chiamiamo assistenzialismo statale.
“La beneficenza governativa – scrive – ha un ufficio pieno in vista delle più gravi difficoltà, e può riuscire, anziché di vantaggio, di grave danno, non solo alla nazione, ma alla stessa classe indigente che si pretende beneficiare; nel qual caso, invece di beneficenza è crudeltà. Ben sovente è crudeltà anche perché dissecca le fonti della beneficenza privata, ricusando i cittadini di sovvenire gl’indigenti che già sa o crede provveduti dal governo, nol sono, nol possono essere a pieno”.
Sin qui, dunque, solo alcune delle idee di Rosmini dalle quali, tuttavia, è facile comprendere la rilevanza e l’impressionante attualità del suo pensiero. E capiamo pure che l’avere per tanto tempo emarginato le idee di Rosmini ha costituito un incalcolabile danno per la cultura cattolica. In realtà, le idee di Rosmini oggi – forse oggi più di ieri – mostrano la loro consistenza teorica, la loro praticabilità politica e il loro valore umano e morale; e pongono sotto gli occhi di tutti il “tempo perduto” e le “occasioni mancate” della cultura cattolica e della politica italiana.

fonte: rosmini.it
 
 

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