Come essere credibili per convincere impreditori come Zappacosta a tornare ad investire in Abruzzo?

zappacosta.jpg«Mi dispiace, ma torno in America»


L’ingegner Pierluigi Zappacosta, nato a Chieti nel 1950, vive nella Silicon Valley da 30 anni; qualche settimana fa era tornato in Italia per controllare gli investimenti fatti attraverso il suo fondo Faro. Quasi per caso lunedì scorso ha partecipato a una tavola rotonda al Meeting di Rimini, tema: l’impresa che cresce. In realtà, secondo il fondatore di Logitech, l’impresa in Italia non cresce affatto, perché manca una cultura che favorisca l’imprenditorià e il libero mercato. E perché la classe politica «non capisce nulla di economia». La platea è rimasta colpita e ha molto applaudito. Salvatore Carrubba ha invitato l’inegnere a restare in Italia e proseguire le sue «lezioni di capitalismo applicato» (si veda «II Sole-24 Ore» del 23 agosto). Ma lui era già volato ad Amsterdam per una conferenza sul multiculturalismo, e da lì volerà in Calitornia. Non prima di ribadire le sue tesi.

Si aspettava tante reazioni al suo intervento di Rimini?

Assolutamente no. Non ho mai fatto politica nella mia vita e non mi piace stare al centro dell’attenzione. Il mio intervento al Meeting, “Un anno in Italia”, era il racconto della mia esperienza: nel 2005, ho creato Faro, un piccolo fondo di investimenti, e ho scelto di lavorare con tre aziende della mia regione, l’Abruzzo. Però vivo e lavoro negli Stati Uniti da molto tempo e volevo evitare che mi si accusasse di “giudicare senza sapere”. Il tono dell’intervento era informale, non cattedratico. Se ha avuto tanta eco forse è perché, come diceva Victor Hugo, c’è una cosa più forte di tutti gli eserciti del mondo: un’idea il cui tempo sia giunto.

Allora è ottimista.

In realtà no. Resto convinto che fare impresa in Italia sia molto più difficile che altrove e che ci vorrà molto impegno condiviso per cambiare il sistema. E poi sono d’accordo con l’analisi fatta di recente dall’Economist: gli italiani devono toccare il fondo prima di darsi una mossa. E il fondo non l’abbiamo ancora toccato.

Salvatore Carrubba l’ha invitata a restare in Italia. Non è un po’ tentato di dire di sì?

La mia vita è ad Atherton, in California. In Italia ci sono i miei genitori, le mie radici e, da circa un anno, i miei investimenti in tre aziende abruzzesi in cui credo: Innova, Tecnomatic e Del Verde. Tornerò regolarmente per questi due motivi, ma non per fare l’imprenditore. Ormai sono abituato agli Stati Uniti e alla loro cultura d’impresa: qui potrei impazzire davanti alle difficoltà burocratiche e legislative. La vicenda dei call center si commenta da sola.

La commenti anche lei.

La decisione di imporre alle aziende di assumere persone a tempo indeterminato dimostra che la maggior parte dei politici non capisce nulla di economia. Forse anche perché nella loro vita, a parte occuparsi di politica, non hanno mai fatto alcunché di produttivo. La libertà di assumere è indissolubilmente legata a quella di licenziare. Un mercato del lavoro flessibile è un mercato del lavoro dinamico e quando si perde un lavoro si entra subito nell’ottica di trovarne un altro. La logica a cui si ispirano le leggi italiane è vecchia, legata a quando il lavoro da tutelare era quello delle fabbriche. L’economia e la società sono cambiate, oggi la maggior parte dei lavori sono nel comparto dei servizi. Ma qui la classe politica, e in certa misura la classe dirigente nel suo complesso, fa finta di non accorgersi dei cambiamenti.

Eppure lei ha deciso di investire in Italia.

Poco più di un anno fa mi ha scritto un commercialista di Pescara, spiegandomi che a Chieti Scalo, la periferia della periferia dell’economia italiana, c’erano tre ragazzi che lavoravano a un progetto per trasformare energia solare in energia elettrica. Avevano chiesto un finanziamento a una banca locale, ma le banche italiane non finanziano le idee. Gli avrebbero dato soldi solo se avessero mostrato di possedere un capannone. Se raccontassi una cosa del genere ai venture capitalist che hanno fatto la fortuna della Silicon Valley, non saprebbero se ridere o piangere. Quando ho conosciuto questi ragazzi di Chieti Scalo ho capito che il loro progetto era valido e che sarebbe stato un delitto non offrirgli una possibilità. Se è vero che il sistema Paese non funziona, è altrettanto vero che in Italia esistono talenti e forze creative. Per questo mi è tanto doloroso constatare che non possono esprimersi.

fonte: Il Sole 24 Ore, 26 agosto 2006

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