La «diserzione» dei generali cattolici e il manipolo di atei devoti

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di Dario Antiseri*

Come mai il popolo cattolico, diffuso capillarmente nelle 25.000 parrocchie sparse sul territorio nazionale ed estremamente significativo sul piano qualitativo, «socio-atropologico», non riesce a esprimersi nella dialettica socio-politica? E’ questo l’interrogativo che si poneva Giuseppe De Rita sul Corriere della Sera del 31 agosto. Ebbene, di primo acchito non pare esservi altra ovvia e ragionevole risposta – non contemplata però da De Rita – a questa domanda che quella per cui i cattolici oggi in Italia contano quasi zero perché, accampati da ospiti e in piccolo gruppi, in tende di «altre» formazioni politiche, hanno perso qualsiasi capacità di incidere. In breve: la diaspora ha significato la sostanziale eliminazione dei cattolici dalla scena politica. E ormai sotto gli occhi di tutti è l’inconsistenza di quel martellante refrain stando al quale il «compito politico» dei cattolici si risolverebbe nel dar loro la testimonianza in qualsiasi partito si trovino. Certo, non vi è nulla di più alto e di più nobile per un uomo che testimoniare a viso aperto i propri convincimenti morali. Tuttavia essere lì, pronti a testimoniare i propri ideali, ma sapendo di venire comunque sconfitti, non trasforma i consapevoli perdenti in ascari delle altrui soluzioni? Nulla di preoccupante, verrebbe da dire, dato che dalle parti più diverse e anche opposte si affacciano di continuo politici che solennemente dichiarano di essere proprio loro e magari solo loro, a rappresentare le istanze del popolo cattolico. Così, in una lettera al Corriere del 23 agosto il ministro Gelmini, con un divieto alla storia futura e un insulto alla verità passata («E’ il Pdl il partito più sensibile ai valori cattolici»), ha affermato che è proprio l’attuale governo a mettere al centro «l’elemento che sta più a cuore al mondo cattolico, vale a dire la difesa e la promozione della persona e della famiglia». Non dubito minimamente delle buone intenzioni del ministro Gelmini, ma: la mancanza di asili infantili, l’assenza di una legge sul quoziente familiare, la carenza di migliaia e migliaia di posti letto per studenti universitari (ne servono 200.000) sono aiuti alle famiglie? In questi ultimi anni è morta una scuola libera quasi ogni giorno – e, dunque, che fine ha fatto, a parte le buone misure adottate da Roberto Formigoni in Lombardia, l’idea di buona scuola? E’ così che «un governo sensibile ai valori cattolici» difende la libertà delle famiglie di «scegliere», come diceva Rosmini, per educatori della loro prole quelle persone nelle quali ripongono maggior fiducia? E se la persona umana viene tante volte umiliata e proprio nel momento di maggior bisogno, in non pochi pronto soccorsi dei nostri ospedali, sempre la persona umana non esiste, scompare, in numerosi istituti carcerari. Ed è proprio quel popolo cattolico, silenziosamente operante nel volontariato e nelle sedi della Caritas, ad avvertire, più di altri, il fetore razzista che emana da quei soffioni boraciferi costituiti da molte prese di posizione contro gli immigrati e contro i rom. No, ministro Gelmini, non è «l’imam della Lombardia» quella grande figura del mondo cattolico che è il cardinale Dionigi Tettamanzi; non sono «comunisti» e «sovversivi» né l’Avvenire né Famiglia Cristiana. E’ semplicemente un comportamento da zerbini e non da uomini liberi sostenere, sempre e comunque, che è vero e giusto soltanto ciò che serve al partito. D’accordo con quel «laico in tutti i sensi» che fu Alessandro Manzoni, il cattolico liberale è contrario a quanti concepiscono lo Stato come un istrumentum religionis ed è ugualmente avverso a coloro che vorrebbero fare della religione un istrumentum regni. Non è, inoltre, un servizio alla famiglia e alla persona una tv pubblica asservita ai partiti e davvero «cattiva maestra». Non è liberale una legge elettorale dove quattro Caligola nominano un Parlamento e illiberali sono quelle proposte contrarie al grande principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge e pensate al fine di salvare i «potenti» dai tribunali; così come risultano estranei all’autentica tradizioni del liberalismo tutte le contorsioni tese a limitare la libertà di informazione. «La libertà di cui parlo è la libertà di dire corna del prossimo e del governo e massimamente di questo, nei giornali e sulle piazze; salvo poi pagare il fio, con adeguate pene in denaro o in anni di carcere, delle proprie calunnie ed ingiurie». Questo scriveva sul Corriere della Sera del 13 agosto 1948, quel liberale cattolico che fu Luigi Einaudi. Ha ragione De Rita a sostenere che il popolo cattolico non riesce a esprimersi nella dialettica socio-politica. Lui aggiunge che ciò è dovuto al fatto che «mancano al popolo cattolico i livelli intermedi prima di condensazione della propria forza poi di finalizzazione dello sviluppo collettivo del Paese». Su questa idea sono in pieno disaccordo, le cose non stanno affatto così. Il popolo cattolico non riesce a esprimersi nella dialettica socio-politica perché i cattolici del livello e del prestigio di De Rita – e ce ne sono – stanno da tempo lì, alla finestra, a guardare. Dove si sono rintanati – dalla prospettiva della politica nazionale – gli iscritti all’Ucid, i dirigenti dei Medici cattolici, i leader dei Giuristi Cattolici, quei banchieri ed economisti cattolici che saltano da un convegno all’altro per parlare di merito, sussidiarietà, solidarietà e di economia sociale di mercato? In quale caverna si sono rifugiati intellettuali come Francesco D’Agostino, Andrea Riccardi, Renato Moro, Lorenzo Ornaghi, Giovanni Reale, Flavio Felice, Francesco Paolo Casavola, Enrico Berti, Francesco Viola, Cesare Mirabelli, Stefano Zamagni e altri ancora? La truppa c’è: numerosa e motivata. Mancano generali e stato maggiore. Ed ecco, allora, che nel vuoto prodotto dalla «diserzione» dell’intellighenzia cattolica si agita quel manipolo di atei devoti – fenomeno politico e non religioso – tanto accarezzati da non pochi ecclesiastici. In fondo, il ragionamento dell’ateo devoto – è il seguente: «Io sono ateo, perché provvisto da mentalità scientifica, perché sono razionale; tu cattolico, invece, dai il tuo assenso a delle favole; dunque, prendo le distanze dalla tua fede , rifiuto quello che conta per te e ti uso per quello che mi servi». Atei devoti: devoti a chi, a che cosa? Un pensiero di Kierkegaard: «Iddio non sa che farsene di questa caterva di politicanti in seta e velluto che benevolmente hanno preteso di trattare il cristianesimo e di servire Iddio servendo a se stessi. No, dei politicanti Iddio se ne strafischia».

*Membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Tocqueville-Acton

fonte: Corriere della Sera del 12 settembre 2010
 

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