C’è o no oggi, in Italia, l’urgenza di un partito di cattolici liberali?

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Alla luce delle ultime iniziative, volte al superamento della diaspora dei cattolici in politica, pubblichiamo un articolo di Dario Antiseri, tratto dal numero 1 della nuova rivista “Libertas. Cattolici per la libertà”. E’ questo un contributo del Centro Studio Tocqueville-Acton alla comune riflessione.

La diaspora dei cattolici nelle diverse formazioni politiche ha posto fine alla loro incidenza nella vita politica.

E pensare che il mondo cattolico nel dopoguerra ha salvato (con l’aiuto degli Americani) il Paese: è stato un presidio della libertà e con ciò dello sviluppo economico.

Il popolo cattolico sparso nelle 25.000 parrocchie, attivo nelle tante sedi e iniziative della Caritas, generosamente presente nel vasto universo del volontariato non ha e non trova, ai nostri giorni, una rappresentanza politica. È diffusa l’idea che non ci siano le condizioni o, addirittura, che non ci sia affatto bisogno di un partito dei cattolici. I cattolici, si è detto e si continua a ripetere, dovrebbero dare testimonianza dei valori in cui credono in tutte le formazioni in cui si trovano a militare. Nobile intenzione, indubbiamente; una meritevole proposta morale. Solo che, nella quasi totalità dei casi, gli esiti di questa posizione si sono risolti e si risolvono in una completa serie di disfatte politiche. Tu cattolico sei in una Commissione, in un partito; fai presente soluzioni in linea con i tuoi valori; la maggioranza, però, vota – per convinzione, opportunismo, vigliaccheria, bassi interessi – per soluzioni in contrasto con i tuoi valori; tu hai testimoniato, ma inutilmente; hai salvato l’anima, ma quello che tu reputi “il sale della terra” non ha neppure l’effetto dell’acqua calda.

La persona è sacra e inviolabile dal concepimento all’ultimo istante della vita. L’anno scorso ci sono stati in Italia aborti in un numero equivalente ai cittadini di una città come Bergamo. Sacro l’embrione, inviolabile il feto. Ma la persona sta anche sui banchi di scuola e nelle aule dell’Università. Del “buono-scuola”, strumento di libertà di scelta da parte delle famiglie, non si parla più. Si ha quasi paura di parlarne. Eppure esso costituirebbe l’introduzione nel sistema formativo italiano di quelle linee di competizione in grado di aiutare sia quel grande patrimonio costituito dalla scuola di Stato sia le scuole non statali a sollevarsi dalla non brillante situazione in cui si trovano. E quali aiuti ha avuto la famiglia (nidi, asili) – della quale da tante parti ci si è proposti come paladini? È stata fatta una riforma dell’Università: se ne è parlato e discusso per mesi e mesi, una questione di fondamentale importanza per il futuro del Paese, ma il mondo cattolico è rimasto sostanzialmente taciturno. Che fine ha fatto quella grande scuola che è stata la FUCI? E che ne è dell’AIMC e dell’UCIIM?. Ininfluenti nell’ambito mediatico – sempre meno edificante – e poco ascoltati, nonostante tanti nobili e generosi sforzi, in quello della più ampia informazione, le tante iniziative di gruppi, centri e associazioni non riescono ad andare al di là del livello del “prepolitico” – gli altri hanno in mano “il politico”, fanno cioè politica, noi ci affaccendiamo nel “prepolitico” e proponiamo “ascari” per altri eserciti. E, intanto, sulle nostre strade muoiono ogni anno circa 6.000 persone e 250.000 sono i feriti, di cui 20.000 restano seriamente handicappati: un vero bollettino di guerra. E se drammatica, come più volte denunciato da esponenti radicali, è la situazione delle “persone” nelle nostre carceri, mai un partito si è preso cura di ascoltare coloro che forse meglio degli altri ne conoscono i problemi, cioè i cappellani delle carceri. E ci accorgiamo dei Rom solo quando ci troviamo a piangere sui loro piccoli morti bruciati o annegati. Nel frattempo la classe politica si occupa di “altro”. Predica il merito e pratica la più squallida logica della corte – di una corte abbastanza affollata da servi in livrea e clarinetti “ben remunerati”.

Siamo tutt’altro che disfattisti. Proprio per questo non ce la sentiamo di restare nelle retrovie. Non ci sono più le condizioni per cui tutti i cattolici si sentano chiamati a militare in un unico partito, ma quello che sosteniamo come possibile – e di cui si avverte l’urgenza e la mancanza – è un significativo partito di cattolici liberali che si situi nella grande tradizione di quel cattolicesimo liberale che va da Tocqueville a don Sturzo. Protagonisti e non ascari – devoti peccatori ben distinti dagli atei devoti; laici perché cattolici; capaci da laici perché cattolici di una azione politica cristianamente ispirata «a difesa – come voleva don Sturzo – della libertà per tutti e sempre». C’è o no oggi, in Italia, l’urgenza di un partito di cattolici liberali?
 

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