di Luca De Biase
La struttura di un medium influenza il senso generale dei messsaggi che trasmette.
Un medium del tutto finanziato dalla pubblicità, governato da un centro che pensa al pubblico come a un insieme di target, caratterizzato da una profonda scarsità di spazio, fondato su un palinsesto il cui successo si valuta in base alla sua capacità di aderire perfettamente all’agenda quotidiana del suo target, tanto costoso da non poter essere utilizzato da chiunque ma soltanto da poche enormi centrali produttive, è compatibile con un mondo di significati che si sovrappone a una visione del mondo nella quale non esistono persone ma soltanto spettatori, consumatori, elettori.
Un medium nel quale la piattaforma è standard, le applicazioni sono finanziate dalla pubblicità e dal commercio, i produttori di contenuti sono prevalentemente donatori perché le persone lo usano per esprimersi e connettersi, per coltivare relazioni, nel quale nessuno è target e al massimo tutti partecipano a diverse comunità, nel quale il tempo e lo spazio sono fondamentalmente ampi e destrutturati, essendo definiti più dal tempo delle persone dallo spazio che loro stesse creano piuttosto che dallo spazio e dal tempo del medium, che tutti possono utilizzare a basso costo, è compatibile con un mondo di significati nel quale c’è molto scambio di idee e poca gerarchia, nel quale ogni piccolo o grande gruppo si fa vedere più per quello che dà che per quello che pretende.
Insomma, tra la televisione e i media sociali ci sono differenze strutturali fondamentali che influiscono sul senso generale dei messaggi che diffondono. La prima è più ordinata e ha una qualità più controllata. I secondi sono più liberi e meno qualitativamente omogenei. La visione del mondo sottostante alla prima è compatibile con un’idea di società nella quale un centro decisionale offre tutte le soluzioni. La visione del mondo sottostante alla seconda è compatibile con un’idea di società nella quale la complessità della società è più ricca di idee e di diversità. Nella prima le decisioni scendono dall’alto, nella seconda emergono dal basso.
Ebbene. Un partito come il Pd, che per molti motivi è penalizzato e minoritario nel mondo della televisione, potrebbe invece essere valorizzato nel mondo dei media sociali. Perché la sua struttura organizzativa, la sua visione del mondo, le diversità che contiene, lo stesso orientamento ideologico, appaiono più compatibili con la struttura dei media sociali.
Il problema è: come proporre delle istanze nel contesto dei media sociali, come influire sull’agenda delle persone che si esprimono e si connettono liberamente, come offrire una soluzione politica attraverso questi media sociali?
Di certo, per riuscire occorre anche un messaggio credibile e convincente. Ma non è di questo che stiamo parlando. Qui stiamo parlando del modo di concepire i media sociali da parte di un soggetto politico. E stiamo dicendo che in questo contesto, i problemi di comunicazione politica si riassumono in una condizione inequivocabile: nei media sociali c’è un forte collegamento tra l’identità e la credibilità, tra il ruolo sociale e la capacità di convincere, tra il metodo e l’obiettivo.
In televisione vince la strategia della disattenzione e il messaggio ripetivo urlato con violenza e subito passivamente. In rete può prevalere la strategia dell’attenzione, la cura per le istanze di molti, il messaggio formato dall’insieme paritario di chi offre quello che dice e di chi si dispone attivamente ad ascoltare.
Un partito che voglia cambiare la visione del mondo prevalente, influire sull’agenda, cambiare le valutazioni sul progetto di società da costruire, dovrebbe rifiutare la centralità della televisione e tener conto delle opportunità offerte dai media sociali.
Per coglierle poi, dovrebbe sperimentare, usare con competenza tutte le piattaforme utilizzabili, imparare, orientarsi al servizio. Tentare di fare in modo che la rete adotti le sue idee piuttosto che imporle. Cercare in ogni modo di accompagnare l’emergere di un’agenda piuttosto che stabilirla a priori. E cercare una coerenza non nelle singole soluzioni legislative ma nel metodo con il quale vengono definite. Per prendersi poi le responsabilità che competono agli aspiranti leader in modo molto chiaro.
Il tutto non è facile. Ma parte da un cambio di paradigma. Secondo me.
fonte: blog.debiase.com