L’Europa distante

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di Joaquin Navarro-Valls

A dire il vero il recente “No” irlandese al trattato di Lisbona non è stato una vera grande novità. L’ odierno diniego di Dublino si è unito a quelli di Francia e Olanda di tre anni fa. Certamente allora si trattava del ben più impegnativo rifiuto della Costituzione europea, mentre oggi gli irlandesi bocciano soltanto il Trattato di Lisbona. Come sempre è utile non drammatizzare le cose, comprendendo però le ragioni vere che hanno portato al discredito di un’ istituzione così importante e tradizionalmente così tanto amata dai popoli del Continente. Se si guarda un momento ai risultati di quest’ultimo Referendum, si può vedere che ben il 53,4% dei partecipanti hanno espresso il proprio voto contrario, pari a poco più di 860.000 persone. Non è un numero schiacciante per una popolazione di 4.150.000 abitanti. La risposta appare comunque preoccupante, vista l’ importanza del Paese, vista la rilevanza internazionale dell’appuntamento elettorale e visto il numero di astensioni. La prima osservazione spontanea da fare è che l’integrazione non sta funzionando perfettamente, perché anche quando c’è, non si accompagna ad una vera condivisione popolare degli obiettivi. Essi rimangono sostanzialmente non pienamente digeriti dai cittadini. In Polonia, ad esempio, nelle ultime votazioni del 2003 i voti a favore dell’Unione si sono fermati addirittura al 58,85%. E’ una percentuale piuttosto bassa se si pensa ai vantaggi ottenibili con l’ annessione all’ Europa da parte di un Paese non ancora al massimo del proprio sviluppo economico. D’ altra parte, in tutte le Nazioni, dove è stato richiesto di recente un pronunciamento popolare sull’Europa, le percentuali dei “Sì” non sono mai state eccezionali. Come sempre, anche questa volta, all’indomani del rifiuto irlandese, i commenti dei Governi e delle Istituzioni hanno cercato di minimizzare l’accaduto. Il Presidente della Commissione Europea Barroso ha subito ricordato la scelta di minoranza dell’Irlanda, la quale non può fermare il cammino dell’ Europa che vanta l’adesione di ben diciotto Paesi. Il Premier Ceco Topolanek definisce l’intoppo irlandese come una “temporanea complicazione”. Il Primo ministro britannico Gordon Brown chiede un “breve periodo di riflessione”, mentre vede montare la pressione nel Regno Unito per dilazionare l’ ultima tappa della ratificazione del Trattato. Forse Francia e Olanda si sono sentite confortate dal mal comune, anche se ovviamente tale riflessione non può che riguardare sempre ed esclusivamente i Governi, ignorando i popoli che in maggioranza hanno deciso di abbandonare già da tempo l’entusiasmo europeista.

Ma, allora, che sta succedendo? Stiamo diventando un po’ tutti euro scettici? Oppure vi è una situazione che sta cambiando sotto i nostri occhi senza che ce ne accorgiamo? In effetti, l’Europa in quest’ultimo decennio è stata percepita prevalentemente come un organo burocratico e bancario che aggrava le pene dei cittadini piuttosto che alleviarle. Nel periodo post-bellico, invece, era convinzione diffusa che il raggiungimento della pace tra gli Stati passasse attraverso una coesione popolare dell’Europa. Allora, poi, veniva considerata fondamentale la comunicazione politica dell’idea di Europa da parte dei Governi. Per questo l’indice dell’attuale insuccesso è dovuto soprattutto al fatto che le istituzioni europee sono bocciate dalla gente e sostenute dai Governi, proprio mentre i Governi stessi fanno ben poco per farsi capire dai propri elettori. Oggi non è che tutti i popoli della comunità siano diventati improvvisamente contrari all’integrazione europea, ma è l’ Europa istituzionale che è divenuta una realtà tecnico-finanziaria, e, pertanto, distante dal sentire dei cittadini e incapace di promuovere se stessa. Si tratta di atteggiamenti d’ indifferenza, tutto sommato, piuttosto recenti. In effetti, Jacques Delors pochi anni or sono, seguendo Robert Schumann, credeva ancora in un’Unione Europea di tipo federale, in cui cioè l’allargamento e la creazione delle strutture politiche si accompagnasse anche ad una crescita progressiva di partecipazione democratica. Forse in quest’ultima direzione si è fatto veramente poco negli ultimi tempi, tanto che i cittadini sono quasi sempre chiamati soltanto a ratificare accordi politici pattuiti in precedenza al vertice, prendendo atto delle scelte poco piacevoli della Banca Centrale Europea, senza alcuna campagna seria d’informazione. Quello che manca è proprio l’entusiasmo del passato, quello che accompagnò, ad esempio, nel 1979 le prime elezioni a suffragio universale del Parlamento Europeo. Anche se, infatti, i sacrifici imposti dall’entrata in vigore dell’euro sono stati impopolari ma necessari, non è possibile continuare per sempre a sostenere l’Europa soltanto come unità monetaria, senza illustrare alla gente nuovi e più attraenti prospettive di crescita anche democratica a favore della comunità europea. L’Unione soffre, appunto, di una mancanza reale di partecipazione sociale, dovuta ad un’ autarchia strutturale della politica, sostanzialmente estranea alle necessità di comunicazione e di coinvolgimento reale dei cittadini.

E’ chiaro, in effetti, che senza un coinvolgimento diretto delle popolazioni e senza una diffusione equa e tangibile dei benefici economici, non sarà possibile tenere in vita ancora a lungo un’Europa così malata di tiepidezza, indirizzandola verso un futuro di progresso e di pace.

tratto da: la Repubblica

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