Un medico ogni 115 abitanti in Abruzzo, uno ogni 600 negli USA

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Riforma sanitaria: Washington chiama…l’Abruzzo risponde

Il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha annunciato pochi giorni orsono la ripresa dell’economia americana, come si evince dalla crescita dei mercati azionari e dall’attenuazione dell’ondata di recessione che aveva colpito l’economia dell’intero continente nord americano e, di conseguenza, quella europea.

C’è però un’altra gatta da pelare che sta dando filo da torcere all’intero staff dell’amministrazione americana: la riforma del sistema sanitario. Questa tematica era stata il cavallo di battaglia del progetto politico di Hillary Clinton durante la campagna elettorale per la nomination. Passata poi, dopo le elezioni presidenziali, all’incarico di Segretario di Stato, aveva ceduto al Presidente eletto tale difficile “mission”e Obama, da parte sua, non si è tirato indietro.

Poiché la gestione della sanità e il controllo del suo bilancio è un problema che da tempo affligge l’Abruzzo e l’intera penisola vorremmo individuare punti di contatto o di divergenza tra i due sistemi, quello nostrano, ipergarantista e statalista (potremmo sbilanciarci a dire comunista, nel vero senso della parola) e quello statunitense, privatistico, addirittura speculativo e “for profit”.

Lungi da noi l’idea di proporre soluzioni o di tentare improbabili quadrature del cerchio, vorremmo invece fornire qualche dato informativo e spunti di riflessione ai nostri lettori, lasciando ad essi proposte, idee, suggerimenti.

Negli USA una prestazione sanitaria (sia essa preventiva, diagnostica o terapeutica) si risolve essenzialmente nel rapporto privato tra chi eroga un servizio o prestazione e chi ne usufruisce. Ogni cittadino, purché inserito in un contesto lavorativo, usufruisce di un’assicurazione che copre, in parte, le spese mediche. La qualità delle cure e delle prestazioni è notoriamente molto elevata, caratterizzata da alta professionalità e competenza, tanto che alla Sanità Americana viene raramente attribuito il prefisso aggettivato di “mala”, come spesso accade in Italia. E’ anzi a tutti noto che il vertice dello scibile in ogni specialità medica ha sede negli USA.

Il problema è che ci sono 45 milioni di Americani – e tra questi 8 milioni di bambini – che, per ragioni che qui sarebbe troppo lungo spiegare (ritorneremo comunque sull’argomento), sono privi di copertura assicurativa e quindi di assistenza sanitaria, anche quella essenziale. Essendo il loro sistema non assistenziale, possono anche morire, in casa o in strada, in caso di malattia o infortunio.

Qualunque atto medico comincia con la richiesta del numero della polizza assicurativa o della carta di credito; chi ne è privo non viene preso in considerazione come paziente. Inoltre le grandi Compagnie di Assicurazione (ne esistono 3 – 4 che dominano l’intero mercato e che a tutto antepongono i propri interessi finanziari) hanno preteso un aumento del premio annuo di polizza a fronte di una riduzione della percentuale di copertura delle spese. Una situazione insostenibile gridano in molti e il buon Barack fa da eco a queste voci, impegnandosi a dare una soluzione a tale problema.

Come venirne fuori? Coinvolgendo l’Amministrazione Federale in senso garantista? E’ possibile, ed è la ipotesi che di primo acchitto viene più spontanea. Questa avrebbe però due conseguenze immediate: una politicizzazione della Sanità Americana che nessuno vuole e un notevole aumento della spesa pubblica. A quest’ultima bisognerebbe far fronte con un aumento della pressione fiscale, anche questa non gradita. Tant’è che appena Obama ha solo fatto cenno ad una tale eventualità è diventato – pur mantenendo un alto indice di gradimento personale – oggetto di feroci critiche sia da parte dell’opposizione che dei suoi stessi sostenitori politici.

Il nostro Sistema Sanitario è ipergarantista, “no profit” per definizione, statalista nel suo assetto amministrativo e gestionale (la sanità è comunque regionalizzata). Pretende di dare tutto a tutti gratis e 24 ore su 24. I costi di gestione della Sanità Pubblica assorbono circa l’80% del bilancio regionale. Il sistema è ormai al collasso. Le proposte di correzione avanzate dagli amministratori e dai tecnici sono velleitarie e insufficienti e soprattutto condizionate politicamente. All’Abruzzo, così come ad altre Regioni (Lazio, Molise, Campania, Sicilia) è stato imposto un Amministratore Straordinario per ripianare lo spaventoso deficit di bilancio accumulato in anni di mala gestione.

Negli USA non c’è neanche l’equivalente del nostro Assessore alla Sanità, poiché questa è autogestita, sia pure con il criterio del business, e la politica resta fuori.

La parola d’ordine dunque, in Abruzzo, come in Italia, è risparmio; riduzione dei costi, della spesa, degli sprechi. Ma come mettere in pratica tale proposito senza ripercussioni negative sull’efficienza dei servizi offerti che da sempre sono percepiti come negativi e inadeguati? Percepiti, appunto, anche se in sostanza non lo sono, o non lo sono sempre; e la nostra Sanità Pubblica continua ad essere una tra le migliori del mondo. L’uomo è portato però, per sua natura, a valutare e apprezzare poco ciò che costa poco o non costa nulla, o comunque è spalmato sul bilancio della collettività.

Negli anni ‘90 furono introdotti nel nostro paese i cosiddetti “Livelli essenziali di assistenza” sulla base del fatto che l’assistenza sanitaria, o meglio la salvaguardia della salute di una popolazione è, così come l’istruzione, un bene primario ed essenziale che lo Stato deve garantire ai propri cittadini. Certamente, garantire, ma appunto nei suoi presupposti minimi di essenzialità. Individuiamo per meglio capire un equivalente simbolico che renda idea di tutto ciò: necessiti di una coperta per ripararti dal freddo? Lo Stato te la garantisce; ma se vuoi un capo di pura lana vergine pregiato o firmato te lo devi comprare con i tuoi soldi, non con quelli della collettività. Lo Stato (o la Regione) è l’appaltatore dei servizi sanitari. Non eroga l’essenziale, ma molto molto di più: cappotti di cashmere per tutti, con i bottoni dorati, per restare nell’ambito del paragone su menzionato. E’ evidente che le risorse finanziarie prima o poi si esauriscono e i bilanci sprofondano nel baratro.

Che dire poi della pletora medica (1 medico ogni 115 abitanti in Abruzzo, 1 ogni 600 negli USA) e dell’affollamento delle strutture sanitarie nella nostra Regione? Se sommiamo quelle dell’area metropolitana Chieti-Pescara (includendo quelle pubbliche, private, universitarie) che corrisponde più o meno ad un quartiere di Roma, si ha un insieme di Cliniche e Ospedali che negli USA sarebbe distribuito su un territorio grande come l’Abruzzo e le Marche.

Ci sarebbero molte altre considerazioni e valutazioni da fare. Ci riserviamo di farlo in un prossimo articolo. Una cosa è certa: se una data prestazione sanitaria costa all’utente 20.000 dollari negli Stati Uniti e zero in Italia c’è qualcosa che non va in ambedue i sistemi.

autore: Antonio Ravazzolo

fonte: giornaledabruzzo.net

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