“Il distacco dalla politica non è la condotta di chi non vuole influire, ma la tattica di chi non saprebbe che fare, preferendo parlare e trafficare con tutti”

cuccia_agnelli.jpgIl gran tramestio, fra Mediobanca e Generali, è avvolto da un alone di mistero e sacralità. I comuni mortali non ci capiscono niente, e quelli che dicono di capirci è largamente probabile che siano, in modo diretto o indiretto, parte in causa. Eppure quella è una faccenda politica, che ha a che vedere con lo stato di salute del nostro capitalismo, è una questione della quale tutti avrebbero diritto a farsi un’idea, a meno che per “politica” non s’intenda solo l’esito di una campagna regionale in cui la destra vuol sconfiggere il cancro, i vescovi l’aborto e la sinistra vuol solo sopravvivere a se stessa, non sapendo neanche il perché.

Dei protagonisti si dice che sono i “poteri forti”. Magari! Le loro stanze erano definite il “salotto buono”. Ma da quando qualche vecchio ci ha lasciati c’è anche gente che mette i piedi sul tavolo, tralasciando quello che combina sotto. Non voglio farla complicata, cadendo nell’errore di chi lo fa apposta e per non farsi capire, ma solo per dare un’idea avverto che Cesare Geronzi è oggi il presidente di Mediobanca, e, benché egli smentisca, candidato alla presidenza di Generali. Tenendo presente che Mediobanca è il principale azionista di Generali e Generali è nel sindacato di controllo di Mediobanca. “Figlia del tuo figlio” avrebbe scritto il sommo, benché qui la verginità c’entri davvero poco.

L’insieme della partita si svolge dentro i confini di un campo disegnato da Enrico Cuccia (nella foto con Gianni Agnelli) . Uomo geniale, dotato di profondità culturale e politica, oltre che di spessore morale. Egli credeva nella possibilità di avere il capitalismo, in Italia, ma nutriva una pessima idea sia delle famiglie capitaliste che della politica. Sicché, approfittando delle circostanze determinatesi nel dopoguerra, organizzò un capitalismo non contendibile, controllato dai patti di sindacato, che potesse prendere i soldi pubblici senza che i “padroni” se li fregassero. Il disegno resse, anche se con insuccessi. Quel mondo, però, morì prima di Cuccia, con l’affermarsi della globalizzazione. Ne sono sopravvissute le parvenze, frutto di un capitalismo che si provincializza, privo di strategia espansiva, cieco sull’orizzonte internazionale. C’è ancora tanta ciccia, e questo spiega la lotta per addentarla, ma ciascuno pensa a prenderne, piuttosto che a produrne.

Se andate a cercare, nell’attività intellettuale di tali menti finanziarie, nelle operazioni industriali di chi abita in quelle stanze, non trovate tracce apprezzabili di un’idea relativa al Paese, al suo spazio economico, alla sua missione produttiva. Il distacco dalla politica non è la condotta di chi non vuole influire, ma la tattica di chi non saprebbe che fare, preferendo parlare e trafficare con tutti e incarnando la vera natura del capitalismo sopravvissuto, quello relazionale. Il che spiega la corsa a sedersi nei piani alti del Corriere della Sera: non perché abbiano un’idea editoriale, o una linea politica, ma per segnalare d’essere influenti, di potersi difendere e, se del caso, se l’avversario non è troppo grosso, anche attaccare. Tutto torna, insomma, con il complessivo declassamento della nostra classe dirigente, di cui spesso, e non a caso, parliamo. Del resto, i giornali possono servire, nelle partite economiche, come, da ultimo, dimostra l’affondo di Repubblica sui piani Fiat. La debolezza della politica, quindi, lascia spazio non solo ai giornali-partito, ma anche all’uso degli stessi nelle guerre di potere.

C’è da dire che in quel mondo di capitalismo senza capitalisti, almeno, non si ciarla a vanvera e in continuazione, come negli altri ambiti della nostra vita civile. Si conosce il valore del silenzio. Pur tacendo, però, sono affetti dagli stessi mali. Per esempio: dovendosi fare nuove nomine è sbucato fuori un codice etico, che, in parole povere, afferma non doversi arruolare i malandrini. Ovvio, dirà lo sprovveduto. Ovvio un corno, perché il problema è sempre lo stesso: chi sono, i malandrini? Quando si vuol far vedere che non si subisce l’influenza di Geronzi, o ci si segnala a chi non lo ha in simpatia, si aggiunge che il banchiere è coinvolto in vicende giudiziarie. Salvo il fatto che proprio in queste ore è stato prosciolto da alcune accuse e che una condanna è stata ribaltata in assoluzione. In un sistema normale l’onorabilità non si misura con il bilancino: o c’è o non c’è. Ma in un sistema normale esistono i colpevoli e gli innocenti, non le figure intermedie. Da noi siamo tutti intermedi, salvo che i più forti la fanno pagare ai più deboli e gli inutili si fanno belli rimproverandolo ai potenti. Un gioco ozioso e incivile.

Ordunque, ove la politica esistesse, ove sapesse valutare gli interessi nazionali, ove non scambiasse l’italianità della proprietà con l’italianità degli interessi, si detterebbero le regole di un gioco che sappia chiudere il passato e scatenare l’Italia verso il futuro. Abbiamo vitalità e spirito di sacrificio in abbondanza, per potere vincere sfide difficili. Invece si preferisce amministrare l’influenza rimanente, giocando la partita come se il campetto parrocchiale fosse lo stadio dei mondiali, e non accorgendosi d’essere la palla. Quindi, godetevi, oh perversi, il minuetto ovattato e salottiero di quel che ci rimane giacché nessuno (ancora) se lo prese, deliziatevi all’esibizione delle nostre zitelle licenziose, senza marito perché prive di grazia e di dote, ma non per questo caste. Noi, anche oggi, qualche altro amico ce lo siamo fatto.

autore: Davide Giacalone

fonte: davidegiacalone.it

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