L’austerità della crescita

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di Luca De Biase 

Il Sole di oggi (12 maggio, ndr) osserva come l’economia europea – e italiana – sia di fronte a decisioni difficili. E’ necessaria una disciplinata austerità nei bilanci pubblici, altrimenti la speculazione sul debito ha buone probabilità di far saltare l’euro. Ed è necessaria la crescita dell’economia perché altrimenti l’interesse sul debito sale a livelli intollerabili e salta l’euro. Eppure, austerità spesso vuol dire risparmio e riduzione della spesa pubblica o aumento delle tasse, il che ha l’effetto di diminuire la crescita. Alessandro Plateroti ha preso di petto a contraddizione in un editoriale, online oggi.

La contraddizione è complessa. Il debito è stato la causa di una parte importante della crescita del passato. E ora rallenta la crescita attuale. Per togliere di mezzo questa causa di rallentamento occorre austerità. Ma è chiaro che togliere un freno non significa accelerare. Questa idea deriva dall’ideologia che pensa alle imprese come cavalli che vogliono solo correre e che solo lo stato frena: meno stato più crescita. Ma non è così se le imprese di cui si parla sono abituate a farsi aiutare dallo stato (che per farlo si indebita). In queste condizioni, nell’immediato, l’austerità e il minor peso dello stato non si traducono in una automatica liberazione delle forze di crescita delle imprese. Anzi, nell’immediato sembra proprio che l’austerità rallenti la crescita.

Insomma, bisogna fare austerità nei conti pubblici alla stessa velocità con la quale si trova qualche altro motivo di crescita. Dove li trova l’Italia?

Noi abbiamo alcuni punti di forza.
1. Siamo fortissimi risparmiatori. Il nostro debito pubblico è enorme. Il nostro debito privato è piccolo. E concentrato sulla casa. La casa è un bene di investimento che – non essendoci un vero mercato – o cresce o si ferma: non diminuisce quasi mai. Apparentemente. Per questo il piano di aumentare le case è la prima cosa che viene in mente. Perché piace ai risparmiatori. Ma se il reddito disponibile non aumenta, o diminuiscono i consumi o diminuiscono i risparmi: il che riduce la possibilità di aumentare il debito privato. E frena la crescita del valore delle case. In queste condizioni il piano casa funziona se il reddito disponibile viene salvaguardato: con aiuti alle famiglie sostanziali. Che non sono necessariamente possibili in una situazione di austerità.
2. Siamo forti nel turismo. La valorizzazione di questa forza dipende peraltro da trasporti, legalità, qualità dei servizi. Il che dipende dagli investimenti infrastrutturali. Molto costosi e lunghi da realizzare.
3. Siamo forti nelle esportazioni. Attualmente l’Asia compra. E l’America un po’ meno, ma non è ferma. L’abbassamento dell’euro aiuta. Le imprese che esportano sono reattive e veloci. Ma dipendono dalla domanda globale (che cresce). E dalla loro capacità di fare continuamente ricerca e innovazione. Investimenti in banda larga, sostegno alla ricerca, facilitazione all’innovazione, all’immigrazione di talenti, sono investimenti a redditività relativamente immediata. Ma i loro profitti dovrebbero essere attratti a restare in Italia e reinvestiti.

Finisce che in tutti i casi, l’austerità va bene se è accompagnata da regole più serie che incentivano gli investimenti in innovazione, scuola, ricerca, connessioni e infrastrutture. L’austerità va bene se non si disperdono risorse in varie forme di corruzione, evasione fiscale, lavoro nero. Per l’Italia, l’unica chance probabilmente è che tutto questo ci venga imposto dalla concertazione europea. La strada è lunga. Ma i risultati di ogni passo in queste direzioni possono avere effetti veloci.

Insomma. L’austerità in Italia può essere modernizzazione, legalità, regole incentivanti concentrate sull’investimento – pubblico e privato – più che sul consumo: l’austerità può essere crescita.

fonte: blog.debiase.com

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