Mario Pirani di Repubblica elogia la ricostruzione della sanità abruzzese ad opera di Chiodi

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Chi anche al Sud dice Yes, we can!

La verifica annuale cui sono sottoposte le Regioni commissariate da un triennio e obbligate ad osservare precisi “Piani di rientro” dagli eccessivi deficit sanitari, sta per scattare. Se non avranno ottemperato agli obblighi non solo non potranno usufruire dei Fondi speciali ma dovranno aumentare oltre i livelli massimi l’ Irpef e l’ Irap. In un paese normale il tema sarebbe all’ordine del giorno della maggioranza e dell’opposizione ma non c’è bisogno di ricordare qui quali, invece, siano gli argomenti che Berlusconi impone alla pubblica opinione. Fornisco, quindi, per chi è ancora interessato alle proprie sorti e a quelle del paese, alcuni dati riassuntivi. Su scala nazionale le uscite nel 2009 si sono mantenute sotto i valori previsti (110,6 miliardi, invece di 113), circa tre miliardi di risparmi. Anche la crescita della spesa si è contratta (nel 2008 era del + 5,5%, mentre nel 2009 si è attestata su +3,2%). È l’arido riscontro numerico dei tagli imposti ai cittadini, ai servizi e ai dipendenti del settore. Le situazioni critiche si concentrano soprattutto nel Mezzogiorno come si evince dal bilancio dei Piani di rientro per le quattro regioni coinvolte il cui disavanzo ammonta a 4,6 miliardi, non coperto per oltre 2: (Calabria 1.137 milioni, Lazio 421 milioni, Molise 69 milioni e Campania 497,7 milioni). Per le altre regioni che avevano sottoscritto i piani di rientro, la Liguria ne ha concluso l’iter, la Sicilia ha parzialmente superato i presupposti del commissariamento, l’Abruzzo presenta ormai un bilancio i cui risultati appaiono sufficienti a coprire il disavanzo di 113,1 milioni. Ed ora qualche riflessione oltre le cifre. I piani di rientro sono per lo più basati sul taglio dei posti letto, l’ introduzione di nuovi ticket, l’ aumento dell’ Irpefe dell’ Irap. Così facendo si peggiora il Ssn e si scaricano nuovi oneri sul contribuente. Per contro le regioni virtuose, a cominciare da Toscana, Emilia, Veneto e Lombardia, hanno basato il risanamento finanziario su una ristrutturazione globale e sul miglioramento razionale del servizio. Il cuore della riforma consiste nel concentrare solo negli ospedali più attrezzati la cura delle malattie acute, gli interventi operatori impegnativi, le terapie più complesse e inserire i piccoli ospedali in reti per l’assistenza diurna, le lungo degenze, le riabilitazioni. Di qui una diversa e più efficiente distribuzione del personale. Il tutto accompagnato da un rafforzamento del 118 per un trasporto rapido ai centri d’emergenza. Quello che si è fatto in Toscana o nel Veneto non è fattibile nel Mezzogiorno? È un discorso così arduo come quello del governatore Draghi quando per la spesa pubblica ci richiama all’esempio tedesco? È certo che occorre una coerente lotta per superare le resistenze municipali, gli interessi privati, la ostilità delle corporazioni grandi e piccole.

chiodi_napolitano.jpgMa che sia possibile ce lo conferma l’esempio abruzzese dove è stata nominata sub-commissaria (commissario, come altrove, è formalmente il presidente della Regione) una dottoressa bolognese, Giovanna Baraldi, con una vasta esperienza di organizzazione sanitaria e per fortuna priva di addentellati politici. Subito denominata dalla stampa locale la “lady di ferro” ha affrontato la chiusura, malgrado opposizioni al Tar ed altri ostacoli, dei primi 5 piccoli ospedali in provincia di Chieti e dell’ Aquila (Pescina, Tagliacozzo, Casoli, Guardiagrele e Gissi) e il loro inserimento nel nuovo modello di Pta (Presidio territoriale di assistenza). Ne è risultato un risparmio a lungo termine e un servizio migliore. L’altro ostacolo, affrontato con determinazione è stata la resistenza delle case di cura private restie ad accettare i tetti di spesa concordati dalla Regione. Quando però la “lady di ferro” ha annunciato che a chi non firmava sarebbe stata cancellata la convenzione le cliniche private sono subito venute a più saggi consigli. Dunque, anche nel Sud si può dire: «Yes, we can! ». Tutto sta a provarci.

fonte: la repubblica – 13 settembre 2010 —   pagina 22   

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