Percorsi diagnostici per ridurre le liste di attesa

di Massimo Mangia

L’adozione di protocolli diagnostici integrati tra la medicina di famiglia e la specialistica ambulatoriale permetterebbe di ottimizzare i tempi e il numero di visite specialistiche, a vantaggio del paziente e del Servizio Sanitario, potenziando il ruolo della medicina generale e riducendo i tempi di attesa per quei casi che richiedono una presa in carico urgente.

Nella ricerca di soluzioni per la riduzione delle liste di attesa spesso si affronta il tema dell’ appropriatezza prescrittiva, nel tentativo di diminuire lo squilibrio tra domanda e offerta incidendo sulla prima anziché sulla seconda. In questo blog ne ho parlato in un articolo che potete trovare qui.

Il miglioramento dell’appropriatezza è però un tema difficile a causa della medicina difensiva, la pressione dei pazienti, la rivendicazione dell’autonomia professionale e talvolta la poca conoscenza specialistica da parte dei medici di medicina generale. Ci sono stati alcuni tentativi da parte delle aziende sanitarie che però non hanno portato a risultati significativi, né si è riusciti a diffonderli in modo sistematico.

Mi sembra ci sia invece poca attenzione sul rivedere i processi che inducono la richiesta di visite specialistiche che sono gli stessi da tanti anni a questa parte. Quando un paziente ha un problema si rivolge di norma al suo medico di famiglia che talvolta, in prima istanza, prescrive degli esami diagnostici per approfondire l’analisi e formulare un’ipotesi diagnostica. Se il medico di famiglia ritiene che il paziente abbia necessità di una visita specialistica la prescrive indirizzandolo a un ambulatorio.

Il paziente si reca dallo specialista portando con sé i suoi esami o magari il medico vi accede utilizzando il Fascicolo Sanitario Elettronico. Spesso lo specialista necessita di ulteriori esami che prescrive direttamente o in altri casi rinvia il paziente dal suo medico di famiglia per farseli prescrivere. Il paziente prenota gli esami, li esegue, quindi ritorna dallo specialista per ottenere finalmente la sua terapia.

Non sempre in realtà era poi necessario l’intervento dello specialista, magari il medico di famiglia, opportunamente guidato, avrebbe potuto gestire il caso in autonomia.

Queste situazioni comportano un numero di visite inutili, allungamento dei tempi e disagi per i pazienti. Ma come si potrebbero evitare? La soluzione è nel ricorso a percorsi / protocolli diagnostici integrati tra la medicina di famiglia e la specialistica ambulatoriale che prevedano:

  • L’individuazione delle patologie che possono essere gestite
  • La definizione di protocolli diagnostici che il medico di medicina generale possa / debba utilizzare per indirizzare il paziente dallo specialista. Questi protocolli prevedono i criteri per comprendere se il paziente necessita di uno specialista (triage) e la relativa priorità, le modalità per gestire in autonomia il caso, gli esami che devono essere eseguiti prima che il paziente si rechi dallo specialista o che venga iniziata la terapia
  • La formazione dei medici di medicina generale sulle patologie che rientrano nei protocolli diagnostici

In questo modo si ottimizzerebbero i tempi e il numero di visite necessarie, a vantaggio del paziente e del Servizio Sanitario, si potenzierebbe il ruolo della medicina generale, si ridurrebbero i tempi di attesa per quei casi che richiedono una presa in carico urgente.

Bisogna avere il coraggio e la volontà di ripensare il modo in cui è concepita e organizzata l’assistenza sanitaria, utilizzando le tecnologie digitali per mettere in rete la medicina generale e la specialistica ambulatoriale, condividendo le competenze e le risorse che sono disponibili. Non è possibile continuare come se nulla fosse, con gli stessi strumenti di venti – trenta anni fa. Occorre ripensare il Servizio Sanitario Nazionale sfruttando le potenzialità del digitale.

pubblicato per gentile concessione dell’autore

Potrebbe anche interessarti...

Articoli popolari