Tra Stato e persona. La via sussidiaria per uscire dalla crisi.

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di Ettore Gotti Tedeschi

La crisi economica in corso è anche esempio di mancanza di una vera vocazione alla sussidiarietà da parte di chi l’ha originata. Infatti, le responsabilità dirette dello Stato nella promozione di una crescita economica fittizia, la tolleranza dell’uso di strumenti inopportuni e incontrollabili, e infine la forzatura di un consumismo a debito delle famiglie per compensare la bassa crescita hanno messo in difficoltà le famiglie stesse, che loro malgrado sono divenute funzionali al processo che ha generato la crisi.

Le famiglie si trovano ora indebitate per aver creduto a queste illusioni, necessarie solo a far crescere il pil nazionale. Si trovano così ad avere perso gran parte dei propri risparmi, vedono pesantemente ridotti i propri fondi pensione e sono rimaste senza chiare prospettive di lavoro. Il modello di sussidiarietà americano avrebbe dovuto essere liberista, cioè fondato sul mercato e su regole di libertà, che a loro volta avrebbero dovuto garantire la fiducia indispensabile nei fondamenti democratici delle scelte economiche.

Ma questo modello si è invece rivelato molto più keynesiano che liberista, perché ha sì accettato il mercato, ma al tempo stesso ha permesso allo Stato di intervenire, seppure indirettamente. Con il risultato di confondere il mercato stesso. Negli Stati Uniti questo è avvenuto non tanto nell’ambito del welfare, lasciato al mercato e alle scelte individuali, quanto in quello dello sviluppo economico, permettendo che fosse falsato e creando illusori riferimenti alle famiglie, che hanno visto così compromesse le loro scelte e la loro autonomia.

Ma anche in Europa non esiste una vera e sana politica di sussidiarietà, ma un welfare di Stato, che in alcuni Paesi ha prodotto un debito pubblico insostenibile, l’abitudine all’assistenzialismo, tasse altissime, crescita abnorme della burocrazia, debolezze nei sistemi scolastico e sanitario, e arretratezza nei trasporti. Tutti pesi da rimuovere se si vuole imboccare la strada della ripresa.

La crisi economica e gli interventi sempre più massicci dei Governi fanno ora sorgere nuovi dubbi circa la possibilità di applicare vere politiche di sussidiarietà. Soprattutto se si consolida l’opinione già diffusa in base alla quale sarebbero stati il libero mercato e il modello capitalistico a permettere lo sfruttamento di intere popolazioni, la distruzione dei risparmi e delle pensioni. In queste condizioni non sarebbe nemmeno difficile prevedere atteggiamenti antimercato che propongano modelli di pianificazione, cioè l’esatto contrario della sussidiarietà e dei suoi valori.

Per potere applicare una vera sussidiarietà si deve invece credere nella persona prima che nello Stato. Inoltre, oggi, per risolvere la crisi è indispensabile un accordo globale. Ma non tutti hanno la stessa visione e la stessa fiducia nella persona umana. Chi confidava nella sua natura buona è stato deluso dalla crisi, che al contrario ha rafforzato la convinzione di chi non credeva nella sua capacità di fare del bene. Posizioni, entrambe, che paiono più disponibili a sostenere lo Stato che non la persona.

Si potrebbe così concludere che l’uomo godrà di minore fiducia grazie agli errori commessi da Stati, che hanno preteso di entrare fin troppo nella vita delle persone. Ma se la sussidiarietà fosse stata applicata non sarebbe stato necessario inventare una crescita economica falsata. E in realtà criteri di sussidiarietà domestica e internazionale potrebbero, meglio di altre soluzioni, indicare la via per uscire dalla crisi.
(© L’Osservatore Romano – 16 aprile 2009)

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