Google: libertà o dittatura culturale?

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di Michele Crudele

Secondo alcune stime (1) l’86% degli italiani usa Google come motore di ricerca primario. Dall’analisi delle ricerche effettuate risulta che molta gente scrive nella casella di Google il nome completo del sito dove vuole andare (per esempio www.ares.mi.it) invece di scriverlo sulla barra degli indirizzi del browser.

Questo comportamento indica che Google è il punto di partenza universale per la navigazione Internet. Considerato che il 74% degli italiani accede una volta al giorno a Internet (2), siamo in presenza di un monopolio dell’accesso all’informazione. Microsoft non è riuscita in Italia con Live.com a contrastare questo predominio, e ha perso terreno persino negli Usa. Pochi mesi fa ha lanciato una nuova sfida, finora con poco successo (3), trasformandolo in Bing.com annunciato come motore «decisionale» e non di semplice «ricerca», ma in realtà persino simile graficamente a Google. Forse hanno preso spunto dalla frase di uno dei fondatori di Google, Larry Page, pronunciata tre anni fa: «Il motore di ricerca definitivo capirà tutto nel mondo. Capirà tutto ciò che chiederete e vi darà istantaneamente proprio la cosa giusta» (4). Se non fosse che Brin e Page hanno creato dal nulla una macchina potentissima quanto a impatto sulla società e ricchissima quanto a risultati economici con quasi 500 milioni di dollari al mese di utile netto, non prenderemmo sul serio una tale affermazione. Ma chi avrebbe potuto prevedere, durante il predominio del motore di ricerca Altavista a metà degli anni Novanta, che sarebbe nato subito un sistema più veloce e più accurato tale da far quasi scomparire in poco tempo la concorrenza? E chi avrebbe immaginato che l’annuncio del proposito «impossibile» di digitalizzare tutti i libri del mondo avrebbe visto in pochi mesi seguire la disponibilità reale di dieci milioni di volumi (5) su cui poter fare ricerche testuali gratis? Insomma, sembra proprio che Google ci abbia dato una libertà culturale senza precedenti, rendendo accessibile una mole di informazioni prima irraggiungibile o costosa. Pensate ai libri rari, conservati in poche biblioteche nel mondo, messi a disposizione di tutti: una meraviglia culturale.

Lo stesso risultato per tutti

Qual è il motivo di tale successo? La pertinenza dei risultati di fronte a qualsiasi richiesta scritta con parole chiave o in linguaggio naturale, mostrando testi, foto, filmati e mappe stradali connessi al tema cercato. Normalmente la lista risultante è di migliaia o milioni di siti ma è noto che pochi sfogliano le altre pagine (normalmente oltre la decima posizione) e una buona parte si ferma ai primi cinque risultati, accompagnati spesso da qualche collegamento a siti che hanno pagato, ma che si distinguono per la posizione in cui appaiono.
Dobbiamo osannare Google, quindi, per averci aperto nuove frontiere della cultura, mettendo sullo stesso piano il ricercatore specializzato e il bambino della scuola primaria: entrambi avranno lo stesso risultato alla stessa ricerca. È proprio questo il punto preoccupante: lo stesso risultato. Immaginate un professore che assegna un compito su Galileo ai propri alunni, dato che siamo nel 400° anniversario delle sue prime osservazioni astronomiche. A parte qualche caso raro dovuto alla Google dance, cioè al tempo di sincronizzazione tra i vari server nel mondo, gli studenti che usano Google (praticamente tutti) scriveranno «Galileo Galilei» o semplicemente «Galileo», ottenendo al primo posto la Wikipedia con una voce enciclopedica abbastanza esaustiva, per cui tutti quanti attingeranno a piene mani con il «copia e incolla». Il docente si troverà tra le mani ricerche tutte uguali, magari anche contenenti lo stesso errore o refuso presente nella Wikipedia. Avremo ottenuto un’omologazione completa dei lavori degli studenti, ancor più simili tra loro di quando avevano a disposizione solamente enciclopedie stampate: in quel caso, per lo meno, non tutti avevano la stessa. La Wikipedia (6), gratuita, è diventata invece ora l’unica utilizzata da tutti. Si sa che è scritta da «gente qualsiasi» per cui è intrinsecamente inaffidabile, pur essendo spesso di alta qualità e precisione: proprio la voce su Galileo risulta curiosamente abbastanza equilibrata, pur trattandosi di un personaggio molto discusso. Solo gli studenti più capaci e con spirito critico sapranno andare oltre la banalità e cercheranno qualcosa di più specifico del semplice nome dell’illustre pisano. Qualche «esperto» proverà a usare un metamotore come Ixquick o uno che raggruppa i risultati come Clusty. Avrà anche lui problemi di affidabilità, perché difficilmente riuscirà a capire se ciò che trova è vero o falso, completo o incompleto, neutrale o ideologico, ma almeno avrà arricchito di nuove prospettive la propria ricerca.

Pochissimi disservizi

Il fatto di essere inaffidabile non vuol dire che non ne possiamo fare un uso ragionevole: viviamo in un mondo imperfetto e basiamo molte nostre scelte su conoscenze incerte. Ma abbiamo imparato a vivere in questo mondo e limitiamo i danni anche dalle situazioni impreviste. Un esempio di risultato molto affidabile dalla somma di tante inaffidabilità è proprio l’infrastruttura tecnologica di Google che sin dall’inizio ha impiegato dischi a basso costo per memorizzare l’enorme mole di dati sui quali fare le ricerche. A differenza di altre grandi aziende che usano sistemi «robusti» che garantiscono pochissime rotture, Google ha preferito spendere meno comprando hardware poco affidabili, ma rafforzando l’intero sistema con la ridondanza: se si rompe un disco, siccome le sue informazioni sono duplicate su altri, non c’è nessuna conseguenza negativa. Google ha avuto pochissimi disservizi in questi anni, molto inferiori a quelli di qualsiasi grande azienda. Un esempio in àmbito sociologico è il comportamento degli acquirenti: molti si fidano di più dei commenti di persone qualsiasi (conosciuti o sconosciuti, della cui affidabilità non si sa nulla) sui prodotti da acquistare, che delle specifiche tecniche o delle dichiarazioni dei venditori, anche quando questi hanno fama di serietà. Questo comportamento è stato trasmesso anche agli acquisti su Internet, caratterizzati da un grande uso dei commenti degli utenti.
Che cosa possiamo dire riguardo alla cultura derivata dalla navigazione Internet? Possiamo sperare che generi affidabilità partendo da contenuti inaffidabili? Dipende dalla capacità dell’utente di discriminare i contenuti. Non c’è ancora una tradizione formativa in questo campo e siamo in presenza di una dittatura culturale: apparentemente abbiamo libertà di attingere a un numero di fonti così elevato che non ci basta una vita per esaurirle, e in realtà ci riduciamo tutti a usare il primo o il secondo risultato di Google. Gli esperti obietteranno che Google fornisce strumenti di personalizzazione: infatti, soprattutto se attivo la cronologia delle ricerche, tenendo sempre attiva la mia identità (7) Google, avrò risultati configurati sulla base della storia dei miei interessi, delle parole chiave che ho usato, del mio profilo personale. Google capirà quindi che sono di Bari e cercando «Gazzetta» mi offrirà, dopo la popolarissima Gazzetta dello sport, quella del Mezzogiorno, piuttosto che quella Ufficiale come capita agli altri. Bello, ma pericoloso, dicono altri esperti, preoccupati per la violazione della privacy, visto che Google sa proprio tutto di me e dei miei gusti: persino la pubblicità contestuale – sempre pertinente alla pagina che sto visitando – risulta una risposta alle mie esigenze mai espresse esplicitamente.

Google mi sta aiutando o mi sta spiando? Non credo alla teoria del complotto che identifica l’azienda americana con il Grande Fratello (quello di Orwell, non quello della Tv), ma riconosco un certo rischio nell’affidare a loro tante informazioni su di me. Supponendo che facciano sempre onore alla loro «sesta verità» (8) – «è possibile guadagnare senza fare del male a nessuno» –, che cosa succederebbe se uno dei centri di calcolo fosse requisito da terroristi? Questi potrebbero accedere ai dati di milioni di persone, visto che sono moltiplicati e distribuiti in diverse parti del mondo proprio per garantire quell’affidabilità di cui abbiamo parlato.

«Nativi» & «immigrati»

Torniamo al problema della dittatura culturale. È facile accusare Google. Molti lo fanno, tacciandolo di furto di notizie di agenzie perché le raccoglie e mette in ordine per argomenti senza retribuire chi le scrive. C’è anche chi protesta per abuso di posizione dominante quando Google arbitrariamente abbassa i guadagni dei siti che ospitano le inserzioni (9) senza ridurre i costi per gli inserzionisti, e così supera la crisi economica, dato che la quasi totalità delle sue entrate dipende dalla pubblicità. L’accusa sui risultati delle ricerche invece non regge: la responsabilità è dell’utente pigro che si accontenta del primo risultato. O meglio, è colpa della mancanza di formazione alla cultura di Internet che faccia comprendere che cosa si trova in rete e perché. Poche persone conoscono i meccanismi di pubblicazione dei siti web e ancor meno quelli di selezione e ordinamento dei motori di ricerca. Mi ha sorpreso il tema di maturità di quest’anno su Social Network, Internet e New Media: quanti docenti saranno stati in grado di valutare la correttezza dei contenuti proposti dagli studenti? La mia esperienza di lezioni tenute in scuole di tutt’Italia dimostra che i professori sono ampiamente impreparati su questi argomenti. Hanno seguito corsi di informatica per imparare a usare il computer, ma non hanno avuto una formazione specifica di carattere epistemologico e sociologico all’uso della rete. D’altronde i formatori in questo campo sono veramente pochi in Italia.

La categoria sulla quale concentrarsi maggiormente è, a mio parere, quella dei maestri. I bambini sono «nativi digitali», cioè sono cresciuti con la tecnologia delle telecomunicazioni come parte della propria esperienza di vita. I maestri sono, nel caso migliore, «immigrati digitali», cioè persone che faticosamente cercano di imparare la lingua del Paese in cui si sono trasferiti loro malgrado: il villaggio globale Internet. Spesso sono invece «trogloditi digitali», non capaci o, peggio ancora, senza nessuna voglia di apprendere proprietà e metodi della rete mondiale, convinti che i metodi tradizionali della didattica sono insuperabili. E intanto i bambini a casa, e spesso anche a scuola (10), navigano senza protezioni alla mercé non solo dei pedofili (più frequentemente di quanto si pensi) ma anche dei corruttori della cultura. Per non parlare del problema della legalità informatica, del tutto assente nei programmi scolastici di educazione civica. La facilità con cui giovani e adulti violano i diritti d’autore, scaricando film e musica «pirata», o abboccano alle truffe via posta elettronica perdendo la propria identità elettronica oppure, ignari, trasformano con un virus il proprio computer in strumento di crimini organizzati, porta a pensare che la sopravvivenza nella rete informatica mondiale sia impossibile (11). Invece, da una parte si stende un velo sui comportamenti illeciti (12) e dall’altra ci si rassegna a perdere un po’ di soldi dalla carta di credito e si sopportano pazientemente malfunzionamenti. Nessuno ha insegnato loro come attraversare la strada evitando di essere investiti (mia madre mi insegnò a guardare a destra e a sinistra anche nelle strade a senso unico) e dovranno fare esperienza sulla propria pelle: qualcuno ci rimetterà le penne e altri diventeranno scaltri. Dovremo attendere una generazione perché ci sia una trasmissione educativa di comportamenti su Internet, ma corriamo il rischio che il modus operandi comune non sia eticamente corretto perché non c’è nessuno che insegna. Una frontiera attuale ancora poco esplorata è la navigazione da dispositivi mobili: in Giappone un terzo delle ricerche su Google sono fatte da telefonini e c’è molta gente che legge libri disponibili in rete usando lo schermo del proprio cellulare.
Intanto guardiamo al prossimo futuro di Google che, bene o male, ci coinvolgerà. Sarà Google Voice, con il numero telefonico universale, oppure Google Wave con un nuovo sistema di comunicazione integrato tra mail, blog, instant messaging e altre forme di dialogo o discussione anche con persone di altre lingue perché traduce tutto al volo, oppure ancora Google Health, affidandogli tutte le informazioni sulla nostra salute. Nel frattempo ci godiamo Google Maps e annessi per trovare i migliori percorsi stradali e vedere la fotografia di casa propria con il balcone immortalato nel suo disordine, magari facendo un giro sulla superficie di Marte o della Luna, per ammirare le foto degli astronauti delle missioni Apollo, passando per il fondo dell’oceano Atlantico e tornando a guardare il cielo stellato fotografato con grande dettaglio.

Contro la dittatura, l’educazione

Tutto ciò è consumo passivo di risorse. Sarebbe bello passare all’attacco: fare in modo che giovani e meno giovani (penso a tanti pensionati docenti) contribuiscano positivamente alla crescita di Internet scrivendo sulla Wikipedia, pubblicando filmati educativi su YouTube, migliorando le traduzioni automatiche di Google Traduttore (che si basa su un’analisi statistica di testi bilingue e chiede se vogliamo proporre alternative), correggendo le mappe stradali (13).
Due interventi di quest’anno di personaggi pubblici mi hanno colpito. Alberoni scrive sul Corriere della Sera (14) affermando che la «nuova generazione non ha radici, non ha fondamenti etici, non ha cultura né classica, né politica […]. A volte mi domando se a questi adolescenti non farebbe bene un periodo di moratoria, in cui si chiudano loro YouTube, le chat, le discoteche, si limiti l’uso di Internet e dei cellulari per consentire loro di ricominciare a parlare, di riprendere contatto con le altre generazioni, con i giornali e i libri». Giorgio Israel scrive sul suo blog (15) commentando la proposta di riforma elementare inglese: i bambini «riscriveranno Shakespeare in versione Bill Gates, individuando col correttore Microsoft i troppi errori grammaticali di quell’autore. Ricaveranno notizie attendibilissime da Wikipedia, per esempio che Benedetto XVI ha nuovamente condannato Galileo. Inflazioneranno il mestiere di dattilografo. Saranno maestri di podcast, Facebook e costruzione di blog, e navigheranno in Internet da mane a sera (cosa difficilissima, come ben si sa). Se andrà in porto un simile folle progetto la Gran Bretagna sarà popolata da legioni di piccoli mentecatti».
Entrambi hanno un fondo di verità, espressa in forma iperbolica ma senza una proposta di soluzione in linea con la tendenza inarrestabile del comportamento giovanile. La mia proposta è invece quella di sempre contro i rischi di dittatura: l’educazione. Un popolo ignorante si fa dominare dal tiranno. Una generazione passiva può essere dominata da Internet (o da Google). Perché non ci muoviamo noi educatori? La missione ufficiale di Google è «organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e fruibili». È un intento nobile: cerchiamo di contribuire a mantenerlo tale facendo capire ai giovani come e perché funziona. Ci richiederà un po’ di sforzo perché dovremo prima capirlo noi, ma ne vale la pena.
Note
1 Sems – Search marketing strategies, indagine del maggio 2008.
2 Survey Shack 2009 per conto di Microsoft: http://www.microsoft.com/italy/stampa/ comunicati_stampa/mag09/survey.mspx.
3 Le statistiche di utilizzo mostrano un leggero aumento della fetta di mercato, ma molti utenti si lamentano della scarsa rilevanza dei primi risultati: per esempio, cercando Galileo nelle prime settimane di lancio di Bing al primo posto risultava una ditta di ottica e al 21 luglio 2009 risulta un giornale di scienza.
4 «The ultimate search engine would understand everything in the world. It would understand everything that you asked it and give you back the exact right thing instantly», Larry Page, citato da «The Guardian», 23 maggio 2006.
5 http://googleblog.blogspot.com/2009/ 05/2008-founders-letter.html.
6 Si veda il mio articolo su «Studi cattolici» del gennaio 2006.
7 Si può creare da www.google.com/accounts.
8 http://www.google.it/intl/it/corporate/ tenthings.html.
9 Nel mio sito www.crudele.it da tempo faccio esperimenti da inserzionista e ho notato in quest’anno, rispetto al precedente, una riduzione dei guadagni a fronte di un aumento dei visitatori. Anche calcolando che è diminuito il tasso di clic sulle pubblicità perché gli utenti le ignorano, risulta che il mio incasso per clic si è ridotto di circa il 30%. Ovviamente incidono anche altri fattori per cui il valore non va preso come riferimento universale.
10 Si vedano i rapporti dei progetti di formazione nel portale www.ilFiltro.it.
11 Su www.crudele.it/prudenza ho raccolto alcuni brevi consigli di autodifesa.
12 Mi ha fatto sorridere tempo fa quel cattolico praticante che mi ha proposto di vedere il film ad alto contenuto morale The Passion in versione pirata. Dopo averne osannato il produttore, lo ha privato del giusto compenso: tutto per risparmiare pochi euro di affitto del Dvd. Non ho accettato la sua proposta.
13 Gli utenti pakistani hanno tracciato in due mesi 25.000 km di strade: http://googleblog.blogspot.com/2009/05/2008-founders-letter.html.
14 Il 23 febbraio 2009, citato in http://www.cogitoetvolo.it/index.php?option=com_content&task=view&id=490&Itemid=84.
15 Il 9 aprile 2009 in http://gisrael.blogspot.com/2009_04_01_archive.html. Si veda anche la sua intervista su «Scienza e umanesimo» in http://www.youtube. com/scienzaefede.

fonte: Studi cattolici n. 586, dicembre 2009

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