Un partito politico non deve mai essere una religione secolare.

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L’economica angelica di Böckenförde 

di Flavio Felice

L’articolo di Ernst-Wolfang Böckenförde intitolato L’uomo funzionale. Capitalismo, proprietà, ruolo degli stati, apparso sul numero 10 de “Il Regno” e ripreso lo scorso 27 maggio da “Il Foglio”, è senz’altro profondo, lucido e ricco di notevoli spunti per lo svolgimento del dibattito economico, teologico e costituzionale. La tesi sostenuta dal nostro Autore è la seguente: “L’attuale evidente crollo del capitalismo a causa della sua espansione illimitata e quasi sregolata può, e dovrebbe, permettere una sua radicale contestazione”. La contestazione sistemica dovrebbe consentire il superamento del capitalismo e l’approdo ad una ipotetica epoca contrassegnata dalle cifre della “solidarietà” e del “bene comune”. A dire il vero, i concetti chiave utilizzati da Böckenförde non sono originalissimi: “crollo del capitalismo”, “carattere funzionale del capitalismo”, “individualismo come cifra del capitalismo”, “capitalismo come cifra della modernità”. Tuttavia, il modo in cui tali concetti interagiscono e l’attribuzione dell’Autore alla dottrina sociale della Chiesa del ruolo di attrezzo culturale per lo scardinamento delle presunte premesse utilitaristiche dello spirito del capitalismo fanno dell’articolo un prezioso strumento di analisi.

L’analisi del capitalismo sviluppata da Böckenförde appare fortemente debitrice dell’opera di Max Weber oltre che del citato Hans Freyer. Weber in L’etica protestante e lo spirito del capitalismo offre una prima e non soddisfacente definizione di tale sistema, identificandolo con la ricerca del guadagno, il tutto in una logica puramente funzionale, in forza della quale i processi economici capitalistici contemplano l’uomo non nella sua integralità, bensì nella sua pura funzionalità economica. Böckenförde  fa propria tale ipotesi, la quale sembrerebbe non tener conto di tutta una serie di studi che hanno mostrato il superamento della tesi weberiana, ovvero quanto meno della sua vulgata. Böckenförde sembrerebbe postulare una sorta di economia angelica verso la quale dovremmo tendere e dalla quale ci saremmo allontanati con il progressivo passaggio dal medioevo alla modernità.  Un’epoca, quella precapitalistica, idealizzata e popolata da angeli, un Eldorado dal quale ci saremmo allontanati per approdare nell’epoca dell’“individualismo egoistico”, popolata da uomini prepotenti e predatori. L’attuale crisi economica è presentata – ma non motivata – dal nostro come il definitivo “crollo del capitalismo” e rappresenterebbe, dunque, l’opportunità per tornare ad una fantomatica economia angelica. Temo che una simile tesi non regga né da un punto di vista storico (basterebbe considerare la moderna e pluralistica storiografia sul pensiero economico medioevale: O. Nuccio, L. Pellicani, O. Bazzichi, A. Chafuen…), né da un punto di vista logico (economico e teologico, si pensi all’opera di W. Röpke, M. Novak, D. Antiseri e tanti altri): nessun indicatore mostrerebbe il “crollo del capitalismo” e l’ipotesi di un’economia affrancata dall’egoismo appare a dir poco azzardata dal punto di vista epistemologico, oltre che morale: il “fantoccio” dell’homo donator che prenderebbe il posto del “fantoccio” dell’homo oeconomicus! Quanto al ruolo che Böckenförde attribuisce alla dottrina sociale della Chiesa, è appena il caso di accennare che Giovanni Paolo II ha sempre criticato il materialismo e tutte le forme di organizzazione della vita sociale che ad esso si adeguano. Il problema è che Böckenförde, al pari del giovane Fanfani, sostiene che le premesse del capitalismo siano il materialismo, l’utilitarismo e la riduzione funzionalistica della persona, come se l’egoismo fosse monopolio del capitalismo! Ciò non corrisponde minimamente a quanto sostenuto da Wojtyla, il quale in Centesimus annus, n. 25 afferma: “l’uomo tende verso il bene, ma è pure capace di male”, ecco la ridice delle cosiddette “strutture di peccato”, e conclude: “Quando gli uomini ritengono di possedere il segreto di un’organizzazione sociale perfetta che rende impossibile il male [sic!], ritengono anche di potenziare tutti i mezzi, anche la violenza o la menzogna, per realizzarla. La politica diventa allora una ‘religione secolare’, che si illude di costruire il paradiso in questo mondo”. A tal proposito, con riferimento all’interpretazione che la moderna dottrina sociale della Chiesa ha offerto del capitalismo, ovvero dell’“economia d’impresa”, dell’“economia di mercato” o più semplicemente dell’“economia libera”, si rinvia al paragrafo 42 della Centesimus annus, nel quale il Pontefice sostiene che se per capitalismo intendiamo un sistema fondato sul ruolo positivo svolto dalle imprese, dal mercato, dalla proprietà privata e dal libero, responsabile e creativo agire della persona, ancorato ad un saldo sistema giuridico e ad un chiaro orizzonte ideale, al centro del quale è posta l’opera del più affascinante, raffinato e prezioso fattore di produzione: il capitale umano, esso appare il più raccomandabile per la soluzione di umanissimi e contingenti problemi economici. Con una fondamentale premessa, non si tratterà mai del Regno celeste, bensì della più umile delle costituzioni umane, parafrasando J. Madison: una città di uomini, fatta da uomini, per altri uomini.

fonte:  “Il Foglio”  del 30 maggio 2009

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