Le Bon: “Psicologia delle folle”

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Gustave Le Bon (1841-1931) scrisse la “Psicologia delle folle” nel 1895. Questo giornalista francese era stato molto colpito dalle folle rivoluzionarie dal 1789 a quelle di Parigi del 1871 e degli anni successivi. Nel 1900 il successo delle idee di Le Bon è stato immenso nelle scienze sociali ed in politica, poiché si fonda su due distorsioni: una di tipo politico (pregiudizio contro le folle) ed una di prospettiva interpretativa (gli atti della folla visti dall’esterno, senza preoccuparsi di coglierne le ragioni).

Nella folla la personalità cosciente svanisce, i sentimenti e le idee si orientano lungo una sola direzione, formando così una sorta di anima collettiva. L’anima della folla è formata da un substrato inconscio che accomuna tutti gli individui di una stessa razza o cultura, ma le loro individualità si annullano. La folla è sempre intellettualmente inferiore all’uomo isolato, ha la spontaneità, la violenza, la ferocia, ed anche gli entusiasmi e gli eroismi degli esseri primitivi. “Le folle si possono accendere d’entusiasmo per la gloria e l’onore, si possono trascinare in guerra senza pane e senz’armi”. L’Individuo in folla acquista un sentimento di potenza per il solo fatto del numero di presenti, quindi può facilmente cedere a istinti e compiere azioni che da solo non avrebbe mai compiuto. Inoltre essendo la folla anonima scompare anche il senso di responsabilità, e ogni atto diventa facilmente contagioso, tanto che l’individuo sacrifica il proprio interesse per quello comune. Le azioni delle folle sono un qualcosa di istintivo, perché esse sono completamente dominate dall’aspetto inconscio degli individui. L’assenza dell’aspetto cosciente priva le folle di capacità critica, spingendole ad accettare giudizi imposti e mai contestati, e a farsi suggestionare dalle cose più inverosimili. All’interno di un gruppo, poi, la volontà personale si annulla, e così le persone tendono a ricercare d’istinto l’autorità di un capo, di un trascinatore. La maggior parte degli individui è incapace di auto-governarsi, quindi è da qui che nasce il culto del capo che fa loro da guida. La folla antepone l’istintività al giudizio, all’educazione e alla timidezza, pertanto il “capopopolo” deve presentarsi ad essa con un linguaggio adeguato alla recettività del destinatario.

Pertanto è fondamentale che segua alcuni principi comunicativi.

La semplicità del lessico e della sintassi poiché la folla si presenta per istinto, restia a parole difficili, ai meandri del ragionamento, rifiutando l’esercizio attivo del pensiero;

l’affermazione, che senza alcun dubbio è un mezzo sicuro per far penetrare un’idea nelle folle, deve essere laconica, concisa, categorica, pregnante di significato, sprovvista di prove e di dimostrazioni, tanto maggiore è la sua autorevolezza;

la ripetizione, per penetrare nelle zone più profonde dell’inconscio diventando così una verità inviolabile;

le immagini, il potere di una parola non dipende dal suo significato, ma dall’immagine che essa suscita;

il contagio, “quando un’affermazione è stata ripetuta a sufficienza, e sempre allo stesso modo, si forma ciò che viene chiamata una corrente di opinione e interviene il potente meccanismo del contagio. Le idee, i sentimenti, le emozioni, le credenze, possiedono tra le folle un potere contagioso intenso e ciò fa sì che tali opinioni si radichino maggiormente (teoria della dissonanza cognitiva)” .

Infine non bisogna tralasciare l’azione esercitata dal prestigio di un capo. “Il prestigio è una sorta di fascino che un individuo o una dottrina esercitano sull’uomo, paralizzandone ogni sua capacità critica. Il prestigio può suscitare sentimenti dì ammirazione o di timore, e tende ad essere imitato inconsciamente, determinando una completa sottomissione e accettazione del capo”.

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